Girolamo Minardi sa cosa scrive, racconta. E lo fa maledettamente bene.

Il titolo “Giallo a Buenos Aires” è altisonante, esplicativo. Ma il romanzo nasconde molto più. Un inno agli intrighi, al sotto trama politico, alla ricerca della verità nascosta nelle opinioni di chi vive le storie dall’interno.

Un romanzo incalzante, scritto con la passione di chi è conscio di quel che sta narrando, delle problematiche presenti negli anni in cui la storia ha inizio: un 1948 carico di tensione politica che culmina in una Buenos Aires assuefatta dai complotti.

Le prime pagine sono dure, aspre, estremamente vere. La storia inizia con violenza, e trascina con prepotenza il lettore in un mondo complicato e crudele.

I protagonisti sono molti, ognuno ben caratterizzato: dal giornalista, all’agente informatore; dagli alti funzionari politici, ai direttori di giornali e servizi segreti.

La componente politica è la colonna portante di questo romanzo, il quale si snoda non solo a Buenos Aires, ma nelle città più calde dell’epoca.

154 pagine che non lasceranno spazio alle certezze e, fiato sul collo, scavalcheranno quella linea sottile che separa il buono dal cattivo, conducendo ad un accavallarsi di dubbi che troveranno risposta solamente alla fine: come riconoscere il giusto dallo sbagliato? E’ solo un giallo? O il tentativo di riportare all’attenzione del lettore anche episodi meno conosciuti della storia? Sfondi carichi di suggestioni che prevalgono o prescindono dalle vicende in sé?

L’interesse è lasciato a chi legge secondo quella citazione prefata dallo scrittore argentino, già testimone del tempo che fa da sfondo.

“Nei romanzi tutto ciò che è vero è al tempo stesso menzogna.” (Tomàs Eloy Martinez)